modelli per infanzia

L’importanza dei modelli per l’infanzia.

Il carattere virtuale con cui il progresso informatico ha marcato molte relazioni umane ci ha abituati da diversi anni a passare parte del nostro tempo rapportandoci con persone “invisibili”. Ma che cosa succede quando un bambino gioca e parla con un amico che non esiste? Il fenomeno, che si manifesta soprattutto nei bambini dai tre ai sette anni, non è raro. Le prime manifestazioni possono avvenire già a partire dai due anni e mezzo d’età, durante l’ultimo anno di asilo nido.

L’ ”amico immaginario” coincide spesso con l’ “oggetto transizionale” (Winnicott). Quest’ultimo è un oggetto (bambole, pupazzi, ecc.) che il bambino investe di una forte carica affettiva per riuscire ad emanciparsi lentamente dal bisogno continuo di contatto con la mamma, cominciando ad affrontare e a gestire da solo le proprie emozioni conflittuali. Tale oggetto è la prima ricchezza che il bimbo possiede ed è quasi sempre qualcosa che nelle mani del piccolo si anima di una vita propria e di un potere magico, capace di diffondere fiducia, protezione e sicurezza nei momenti cruciali. Gli amici immaginari sono compagni di giochi ma, soprattutto, fanno da ponte tra il mondo interiore e il mondo esterno, tra la realtà e la fantasia ed in questo modo aiutano i bambini nel loro percorso di crescita. Potremmo dire che il compagno invisibile svolge la funzione di aiutante magico, talvolta accompagna il bambino (e il ragazzo) tutto il giorno, lo fa sentire protetto, non giudicato e soprattutto supportato e potenziato nei suoi aspetti migliori.

In uno studio condotto nel 2008 da Anna Roby ed Avan Kidd, dell’università di Manchester, è stata testata la capacità linguistica di 44 bambini in età prescolare e scolare: quelli che avevano un compagno immaginario riuscivano in media ad esprimersi meglio e ad immedesimarsi prontamente nell’interlocutore.
Dai colloqui condotti con diverse centinaia di ragazzi (I. Seiffge – Krenke) è emerso con chiarezza che gli amici immaginari compaiono spesso anche nei diari degli adolescenti. Uno studio condotto nel 2000 su 241 giovani ha prodotto un risultato simile anche per gli adolescenti: i ragazzi con amici immaginari mostravano maggiori abilità sociali e più capacità empatiche rispetto ai loro coetanei senza compagni invisibili.

Possiamo pensare all’amico immaginario come ad una figura che la mente del bambino (o del ragazzo) genera spontaneamente per creare un modello di riferimento in grado di supportarlo nelle fasi più delicate della sua crescita. Proprio partendo dal fenomeno dell’amico immaginario possiamo comprendere quanto l’istituzione di un modello sia imprescindibile per la crescita. Lo è a tal punto che il meccanismo dell’amico immaginario si manifesta spontaneamente, e in maniera più o meno evidente, non appena il bambino ne avverte la necessità.

Ma quali sono gli strumenti educativi più efficaci di cui un educatore può disporre per fornire modelli ad un bambino?

Ciò che accade nella mente di un bambino che coltiva un amico immaginario è simile a quanto accade quando un genitore legge una favola a suo figlio, lasciando che si identifichi con il protagonista e ne acquisisca nella fantasia ogni tratto positivo essenziale. Con l’utilizzo della metafora è possibile creare un modello positivo da imitare che permetta al bambino e all’adolescente di riferirsi a qualcuno/qualcosa capace di potenziarne l’empatia e le capacità sociali e di comunicazione.

La fiaba elabora in forma simbolica alcuni dei problemi più toccanti relativi all’età evolutiva e al percorso formativo che il bambino va compiendo nel processo della sua crescita. I simboli e la narrazione magico-simbolica della fiaba rispondono, infatti, al bisogno del bambino di liberarsi dalle emozioni conflittuali in quanto gli permettono di identificarsi in un personaggio fantastico, spostando sulla sua figura tutto il vissuto emotivo che sarebbe poco tollerabile se investito sulle figure parentali. Fiabe come quella di “Pollicino”, spesso utilizzata come strumento pedagogico da Fondazione Patrizio Paoletti nell’ambito delle sue iniziative educative, sviluppano maggiormente il loro potenziale pedagogico se rivolte ad un target di bambini dai 0 ai 7 anni, offrendo loro la possibilità di sostenersi sull’arguzia e l’intraprendenza del suo protagonista per superare le emozioni negative.

Con l’avanzare dell’età del bambino è importante che il racconto fiabesco lasci man mano il testimone al racconto eroico (per i bambini tra i 7 e i 14 anni la fiaba dell’ “Acciarino magico” è un esempio di questo genere di narrazione) e successivamente a quello mitico (ragazzi dai 14 ai 21 anni). Ponendo una particolare attenzione nel dosare i giusti strumenti pedagogici a seconda dell’età del bambino, egli sarà maggiormente in grado di imparare a gestire le proprie emozioni e di sviluppare capacità empatiche ed adattive, trasformando la figura dell’amico immaginario in un modello che gli appartiene e che lo segue nel processo di crescita fino all’età adulta.

 

Bibliografia:

– A. Bencini Bariatti, Sviluppo affettivo e ambiente: studi sulla teoria dello sviluppo affettivo, trad. Armando, Roma,1974.
– C. Casula, Giardinieri, Principesse, Porcospini. Metafore per l’evoluzione personale e professionale, Franco Angeli, Milano 2002
– P. Paoletti, Le fiabe, (non pubblicato) Canzo 1993.
– P. Paoletti, Giorno di fiaba, Quaderni di Pedagogia per il Terzo Millennio, Assisi 2005.
– P. Paoletti, Il mito e la fiaba, Quaderni di Pedagogia per il Terzo Millennio, Assisi 2006.
– V. Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino,2000.
– D. Winnicott, Gioco e realtà, trad. Armando, Roma,1974.
– J. Le Doux, Il cervello emotivo, Baldini & Castoldi, Milano, 2000.

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